Dal culto degli spiriti di Natura al cristianesimo
Dal culto degli spiriti di Natura al cristianesimo
di Hasan Andrea Abou Saida
La penisola italica è da sempre ricca di leggende, tradizioni e miti di fondazione di città da parte di divinità, geni o spiriti della Natura. Dalle origini antiche, il culto degli spiriti naturali, chiamati anche “Piccolo Popolo”, era da sempre molto sentito dai nostri avi italici ed era parte integrante e fondamentale della loro spiritualità. La relazione profonda ed arcaica tra i nostri antenati e gli spiriti elementali della Natura si è, nel corso dei secoli, persa e quasi dimenticata, lasciando poche ma indelebili tracce della presenza degli spiriti naturali nei loro successori, come le divinità greche, romane e infine nel culto cristiano. Le tradizioni popolari, le fiabe e i miti aiutano le anime curiose a svelare questa magica realtà, popolata da fate, gnomi, elfi, silfidi, nani, ninfe, sirene, troll, geni, driadi, fauni, e moltissimi altri spiriti facenti parte del “Piccolo Popolo”. Questi esseri elementali sono spiriti che creano e aiutano la vita, e ciascuno è la manifestazione di uno dei quattro elementi naturali (terra, aria, fuoco, acqua). Ogni spirito governa ed è presente in ogni fonte, montagna, cascata, fiume, pianura, vento e in moltissimi altri elementi della Natura, e la loro esistenza è celata ma presente e rinnovata in tempi odierni nel culto cristiano.
Tra le divinità italiche più importanti e precedenti al culto romano vi è Feronia, un’antica dea italica rurale. Il suo culto è stato documentato ampiamente presso gli Etruschi, Umbri, Piceni, Sabini e Volsci, e fu venerata come la dea protettrice dei boschi e delle messi. Le leggende e il folclore parlano di lei come di una fata dei boschi, madre di Erulo, protettrice della acque sorgive e personificazione dell’eterna primavera. Dagli scavi del santuario di Lucus Feroniae si sono accertate alcune caratteristiche della dea Feronia, quali Salus (salute) e Frugifera (fertile) 1.
A Narni vi è un’antichissima fonte preromana dedicata alla dea Feronia, risalente al VI sec. a.C. La fonte sacra degli antichi Nequinati era un tempo circondata da un bosco di elci ombrosi, e annesso vi era un tempio e una statua della dea Feronia. Sin dall’antichità, fu meta di pellegrinaggi in onore della dea e delle sacre virtù terapeutiche della sua fonte. La mitologia romana poi trasformò la fata del bosco in una dea protettrice degli schiavi liberati e di tutto ciò che cresce sottoterra ed esce alla luce del sole. Feronia diventò la Signora delle Fiere, una Dea Natura esattamente come la Diana Efesina dalle numerose mammelle e con belve raffigurate sulla veste. Successivamente, i primi cristiani di Narni abbatterono il tempio e distrussero il sacro bosco, che da quel momento si chiamò macchia morta, cioè non esistente. Nel 1851 lo storico narnese Giovanni Eroli commissionò all’università di Perugia un’analisi dell’acqua della fonte che restituì la seguente risposta “A ben ragione l’acqua detta di Feronia è in reputazione fra le acque potabili, giacché ella gode al massimo grado dei principali requisiti di cui deggion le acque potabili esser fornite, quelli cioè di contenere molto ossigeno e pochissima dose di altre sostanze in dissoluzione”. La Fonte Feronia dunque rimase intatta, e grazie alla leggerezza, bontà e virtù terapeutiche della sua acqua, divenne la favorita dagli abitanti rispetto alle altre fonti 2.
I miti e il folclore dell’arco alpino inoltre ci tramandano l’esistenza del culto delle Aquane legato all’arte rupestre preistorica della Valcamonica in Lombardia. Il toponimo Naquane, dove risiede il Parco nazionale delle incisioni rupestri, pare che sia una “corruzione” moderna di quello in uso fino a non molti anni fa che era Aquane, un luogo di dimora di spiriti legati alle acque e alla terra, molto simili alle sirene. Nonostante vi sia una precisa connessione anche in Valcamonica tra petroglifi e corsi d’acqua, a Naquane, priva di ruscelli, questa connessione esiste perché le rocce, levigate dai ghiacciai preistorici, sembrano delle grandi onde di pietra. Oltre a ciò, talvolta i ghiacciai hanno creato piccole cavità, delle pozze in cui permane l’acqua 3. Più a nord, nell’area delle incisioni rupestri di Ceto, persiste il ricordo toponomastico legato alle Aquane: da una vasta area a Foppe di Nadro sottostante la roccia 30, già segnalata come luogo cultuale femminile calcolitico (Pre delle Aquane), lungo la strada delle Aquane, sino alla Casa Aquane e alla contrada Aquane, tutto il territorio è legato al ricordo di questi esseri divini la cui presenza è attestata lungo tutto l’arco alpino 4.
Le Aquane sono raffigurate nella tradizione popolare come divinità antropozoomorfe protettrici della valle, legate all’acqua e alla terra. La loro dimora era nei laghi, fonti, grotte da cui raramente si mostravano. Possedevano il dono di conoscere passato e futuro e avevano dominio assoluto sulle acque, sia correnti che piovane. Accompagnate da serpenti e uccelli acquatici, praticavano l’arte della tessitura e sono note anche per essere consigliere di giovani, cioè legate a riti di passaggio. Sulla roccia n. 1 di Naquane vi sono incisi 7 telai, ed è l’unico posto dove si trovano telai nell’arte rupestre della Valcamonica.
La presenza di culti femminili in Valcamonica è attestata già dalla prima età del Rame a Sellero, a nord di Capo di Ponte dove un’articolata composizione di elementi topografici ruota intorno a un idolo femminile, riconoscibile dalla presenza di seni coperti da una sorta di ornamento a linee. A Breno in località Spinera presso il fiume Oglio, in una piana con grotte e acqua sorgiva, venne edificata un’area sacra all’aperto con un recinto cerimoniale e altari, ove si svolgevano pratiche cultuali con l’accensione di roghi votivi (brandöpferplätze). Tra i vari oggetti di culto rinvenuti, vi è un pendaglio che rappresenta una figura antropomorfa femminile in atteggiamento orante su una barca solare a doppia protome ornitomorfa. Tali elementi, confermano la natura acquatica della divinità in oggetto, assimilandola ad una Aquana, legata ai corsi d’acqua, ai guadi e ai riti di passaggio. Molti degli oggetti votivi ritrovati, databili dal V al II secolo a.C., sono confrontabili in modo analogo con alcuni rinvenuti in Veneto e in Trentino dedicati alle antichissime dee euganee Reitia e Pora, connesse all’acqua e alla tessitura, e ancor prima alle creature dette Anguane 5.
Secondo De Marinis in “La cultura Breno-Dos dell’Arca e il problema degli Euganei”, anche il nome degli Euganei, dello stesso gruppo etnico a cui appartengono i Camuni dell’Età del Ferro, sarebbe imparentato con la variante Eguane o Enguane. Secondo un’etimologia popolare il lessema anguana, con cui le Aquane sono generalmente note in Veneto, deriva dal latino popolare aquana: una sorta di crasi tra le parole latine aqua (acqua) e anguis (serpente). Secondo le leggende venete, le anguane abitano in caverne presso sorgenti e ruscelli e le si può vedere all’alba e al crepuscolo. Le Anguane custodiscono tesori, sanno predire il futuro, come le sibille, e conoscono il passato ma non il presente. Attraggono nel regno delle ombre gli esseri umani e fanno loro smarrire il senso del tempo 6. Il culto arcaico delle Aquane nell’area camuna si ritrova anche a Borno, con la prosecuzione in età romana di un culto femminile legato alle acque e a riti o luoghi di passaggio, interpretato dalla dea Minerva. Presente già nel V secolo a.C. e romanizzato nel I secolo a.C., fu presente nell’area di Spinera a Breno un santuario dedicato a Minerva, divinità protettrice della fecondità, della famiglia, del territorio e anche delle arti che richiedono tecnica, sapere e memoria. In continuità con la fase protostorica, è sempre presente un forte rapporto tra la dea romana e l’acqua sorgiva. Il santuario sorge addossato a uno sperone roccioso sulle rive dell’Oglio, di fronte a una grotta naturale entro la quale sgorgava una sorgente dalle proprietà taumaturgiche e miracolose. Nel IV secolo d.C., il processo di cristianizzazione subito dalla valle portò al progressivo abbandono del culto di Minerva e di conseguenza del santuario, che nel secolo successivo fu infine distrutto da un violento incendio e venne presto dimenticato. Solo la toponomastica conservò l’antica divinità tutelare del santuario, tanto che sin dalle notizie riportate nella Vita di Sant’Obizio (XII secolo) si menziona il ponte de Manervio presso Breno. Il ricordo dell’antico culto aveva quindi trovato sede poco più a nord, in prossimità del ponte che attraversa l’Oglio: nell’area di confine tra due contrade o tre, con acqua sorgente, sarebbe stata edificata una prima cappella tra i secoli XIII-XIV dedicata a Maria Vergine, protettrice del territorio e dei fedeli. La chiesa, riccamente affrescata tra il XVI e il XVIII secolo, offre un vario programma iconografico quasi esclusivamente incentrato sulla Vergine, presentata dalla nascita all’Incoronazione e con pochissimi riferimenti cristologici, confermando il preesistente culto della dea Minerva 7.
Un altro luogo di culto cristiano che ha ripreso la preesistente devozione alle divinità Aquane è la chiesa delle Sante Faustina e Liberata, edificata accanto ai resti di una preesistente struttura romanica. Il culto di Faustina e Liberata, figure non locali ma oggetto di una devozione popolare molto viva, sono connesse a grotte, acque e protezione durante il parto. Le Sante sarebbero apparse durante un’alluvione per salvare la popolazione del borgo di Serio rifugiatasi nella chiesa, mentre il villaggio veniva travolto e distrutto nel XIV secolo. Nei pressi della chiesa scorre un corso d’acqua, il torrente Re. Il culto è documentato solo a Capo di Ponte, elemento che spinge alcuni a ipotizzare che la consacrazione della chiesetta sia stata voluta da una colta personalità locale interessata alla conservazione della continuità del culto pagano, personaggio che si sarebbe spinto fino a commissionare arredi e decorazioni che richiamerebbero in modo inequivocabile il mondo delle acque e delle sirene, nonché di figure come le Sibille, connesse quindi al mondo della divinazione, come lo sono le stesse Aquane 8.
Lo stesso fenomeno si ritrova in Campania, in special modo nella antiche colonie greche di Capri, Sorrento e, in generale, nel versante orientale del Golfo di Napoli. L’intera Campania infatti affonda le sue origini nella leggenda e nei culti dedicati alle sirene. Secondo Plinio il Vecchio, la baia di Ieranto sarebbe stata il luogo d’incontro fra Ulisse e le tre sorelle sirene che abitavano nel golfo di Salerno, ossia Partenope, Leucosia e Ligea. Il loro canto era un sottile e persuasivo strumento di seduzione, in un legame tra amore e morte. Attendevano le navi per attirare i marinai che, ammaliati dal loro canto, facevano infrangere le navi sugli scogli, venendo poi uccisi dalle sirene. Ulisse legato alla nave non venne sedotto dal canto delle sirene e la nave proseguì nel suo viaggio. Dopo il passaggio le tre sirene, umiliate e indispettite, si gettarono in mare uccidendosi e il loro corpo arrivò in luoghi diversi: Partenope, della quale oggi i napoletani conservano il nome, giunse sull’isolotto di Megaride, su cui oggi sorge Castel dell’Ovo. Leucosia, arrivò nel Cilento, mentre Ligea in Calabria. La città che venne chiamata poi Neàpolis (Napoli), originariamente fu chiamata Partenope in onore della sirena, che diventò la divinità protettrice della città 9.
Diventata una colonia greca, la Baia di Ieranto fu consacrata dai greci alla dea Atena, la prosecuzione greca del culto degli elementali femminili acquatici. Atena aveva infatti come suoi attributi divini i serpenti, ed era chiamata in alcuni poemi orfici con l’epiteto di “La Serpentina”. Il serpente simboleggia i poteri ctoni della Madre Terra, ma anche l’energia trasformativa connessa ai fiumi, sorgenti e corsi d’acqua. E’ signore sia della terra ma anche delle acque che dalla profondità tendono a salire verso l’alto e scaturire in superficie. Sullo scudo della dea Atena vi era infatti posta la testa di Medusa, una bellissima sacerdotessa della stessa dea che venne trasformata in una creatura mostruosa dai capelli serpentini in grado di pietrificare chiunque la guardasse negli occhi. Nei momenti di collera o in battaglia, la dea Atena assumeva l’aspetto terrificante di Medusa, trasformandosi in una dea-serpente. Più tardi in epoca romana, il tempio di Ieranto fu dedicato alla dea Minerva e, con l’arrivo del cristianesimo, il luogo venne consacrato al culto mariano 10.
Anche la fondazione della città costiera di Amalfi è legata ad uno spirito elementale: la leggenda narra che il semidio Ercole si innamorò di una ninfa di nome Amalfi, ma ella morì improvvisamente, lasciando l’eroe con un terribile dolore. Ercole girò tutto il mondo per cercare un luogo dove seppellire la sua amata Amalfi, trovandolo sulle aspre coste del litorale campano dove decise di fermarsi e dare riposo alla sua ninfa, battezzando quel luogo Amalfi, in suo onore 11.
In Sicilia vi è una leggenda sulle origini mitiche dell’isola da parte di tre ninfe: si racconta che tre giovani fanciulle, tra una danza e un’altra, giravano il mondo raccogliendo particolari frutti, semi, parti di terra e sassi dai principali terreni fertili. Un giorno arrivarono in una terra soleggiata dal cielo azzurro e limpido, dove decisero di lanciare tutto quello che avevano raccolto. Dopo il lancio iniziarono a prendere forma i tre promontori di Capo Peloro a Nord-Est, Capo Passero a Sud-Est e Capo Lilibeo ad Ovest, mentre dalle onde del mare, illuminata da un arcobaleno radioso, emerse una terra con la forma di un triangolo rovesciato, ricca di risorse naturali e dal clima mite: la Sicilia. L’antico nome dell’isola detta Trinàcria (greco Trinakría; latino Trinacria) faceva esplicito riferimento alle sue tre cuspidi.
Dallo storico Timeo, greco di Sicilia, sappiamo che era costume sull’isola, e forse particolarmente a Siracusa, offrire sacrifici alle ninfe, in una festa che durava tutta la notte, tra danze e bevute, di casa in casa e intorno alle immagini sacre delle dee. Tra le ninfe più celebri in Sicilia vi è senza dubbio Aretusa, una fonte di acqua proveniente dai Monti Iblei a ridosso del mare, lungo la costa occidentale dell’isola di Ortigia. La fonte di acqua dolce era importante già per i Siculi che, stando alle testimonianze di Esichio e di Stefano Bizantino, la chiamavano Kypara, una arcaica divinità sicula dell’acqua che poi prese il nome di Aretusa in epoca greca. Nel racconto di Ovidio, Aretusa è una ninfa dell’Acaia che caccia e trascorre le sue giornate nelle foreste. Un giorno, per ritemprarsi delle fatiche della caccia, Aretusa si bagna nuda nelle acque dell’Alfeo, il principale fiume dell’Elide, il cui corso lambisce anche il santuario di Olimpia; il dio fluviale se ne invaghisce prepotentemente e la insegue. L’intervento di Artemide salva Aretusa dalla violenza di Alfeo; la ninfa, avvolta da una fitta nube, si scioglie in acqua e, sprofondando nelle voragini della terra, riemerge a Ortigia. Il dio fluviale, lasciando l’aspetto umano che aveva preso, torna ad essere acqua a sua volta e si fonde con la ritrosa Aretusa 12.
1 Ferrari, A. (2015). Dizionario di mitologia greca e latina. Torino: UTET, p. 327.
2 Monacchi, D. L’acqua come oggetto di culto e come servizio pubblico in età romana, http://utecnarni.altervista.org/fonte-feronia-e-la-formina/ (ultima visita 21/04/2021).
3 Busatta, Sandra. (2019). L’arte rupestre camuna tra Cervi, Caccia Selvaggia, Aquane e Nani minatori. 17-63.
4 Gastaldi, C., & Gavaldo, S. Sulle orme della dea. Antichi culti e santuari femminili nella media Valcamonica: alcune considerazioni. Santuàrios, https://www.ccsp.it/web/santuarios2016/programma e pdf vari/pdf_articoli/gastaldi gavaldo.pdf (ultima visita 21/04/2021).
5 Ibidem
6 Busatta, Sandra. (2019). L’arte rupestre camuna tra Cervi, Caccia Selvaggia, Aquane e Nani minatori. 17-63.
7 Gastaldi, C., & Gavaldo, S. Sulle orme della dea. Antichi culti e santuari femminili nella media Valcamonica: alcune considerazioni. Santuàrios, https://www.ccsp.it/web/santuarios2016/programma e pdf vari/pdf_articoli/gastaldi gavaldo.pdf (ultima visita 21/04/2021).
8 Ibidem
9 Così cantava Parthenope: la leggenda di Napoli. Ecampania, https://ecampania.it/event/cos-cantava-parthenope-leggenda-napoli/ (ultima visita 21/04/2021).
10 Casaburi, L. Baia di Ieranto, il Tempio delle Sirene. RicercAttiva Turismo, https://turismo.ricercattiva.it/baia-di-ieranto-il-tempio-delle-sirene/ (ultima visita 21/04/2021).
11 Casaburi, L. Le origini di Amalfi, la leggenda della ninfa e di Ercole. RicercAttiva Turismo, https://turismo.ricercattiva.it/le-origini-di-amalfi-la-leggenda-della-ninfa-e-di-ercole/ (ultima visita 21/04/2021).
12 Giacobello, F., & Schirripa, P. (2019). Ninfe: nel mito e nella città dalla Grecia a Roma. Milano: Viennepierre, pp. 133 – 150.